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Incamminiamoci. Una volta giunti al bordo del cratere ed aver completato il percorso circolare ci troviamo ad un bivio in cui manca la cartellonistica e il sentiero che percorrevamo si perde. Alla sinistra la fitta macchia fa spazio ad una radura che sembra invitarci a percorrere la traccia di altri cammini. La seguiamo, qualcosa ci dice che quel sentiero ci poterà a scoprire, a conquistare altre prospettive.

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Che cos'è questo qualcosa che indirizza i nostri passi?

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Partiamo dunque a porre l'accento sulle modalità con cui viene guardato il paesaggio, come viene percepito.

A questo proposito mi sento di chiamare in causa Matteo Meschiari, antropologo, che ha lungamente studiato ed indagato il rapporto e le interdipendenze tra uomo e ambiente alla luce degli adattamenti sia biologici sia culturali.

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Come specie abbiamo un respiro storico molto ampio: per milioni di anni è esistito un uomo che viveva di caccia e raccolta, totalmente immerso nel paesaggio. In quel periodo la nostra specie si è mutata anche dal punto di vista genetico e cognitivo dunque è possibile ipotizzare che siamo frutto di una spinta evolutiva che ha portato alla creazione di un corpo che dava risposte a problemi nati quando era necessario muoversi e conoscere il proprio ambiente per sopravvivere.

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Questa attitudine umana a rapportarsi ad un paesaggio anche sconosciuto attraverso dei modelli, introduce il concetto di "cognitive mapping" o mappe di orientamento virtuale.

La creazione di tappe in un percorso sconosciuto che possono essere ripercorse in modo speculare, cioè per tornare indietro, è un esempio semplice di questo tipo di attitudine. Talvolta in questo processo vengono introdotti in modo creativo, strumenti di originalità come se dicessimo "funziona così dunque so cosa fare".

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E' qui che la teoria della "Mente paesaggistica" si collega alla creazione dei sentieri informali nel paesaggio. In sostanza quando siamo difronte ad un paesaggio tendiamo a schematizzare e categorizzare inconsciamente gli elementi che lo compongono, a scorgere le relazioni fra elementi e a scegliere un determinato atteggiamento. 

Gli umani hanno un sense - making esasperato: cercare il senso dietro ad ogni cosa è una nostra attitudine molto predominante.

Alcuni apporti delle neuroscienze ci chiariscono la questione e rafforzano questa tesi: il nostro cervello ha un'area nella sua parte sinistra che si attiva quando leggiamo un testo. La domanda è dunque: come è possibile che abbiamo una parte del cervello per leggere testi quando è un attività recente?

L'origine genetica ancora una volta ci porta a configurarci come degli individui nati per decifrare i segni simboli ed è abbastanza logico pensare che questa area del cervello si sia adattata ai testi scritti per cultura. Il paesaggio è lo scenario che per milioni di anni è stato decifrato e decodificato come un testo e ci ha aiutato a pensare alla complessità e a risolvere problematiche complesse.

 

Si tratta, in senso proprio, di un'ecologia della mente: il cervello umano nell'arco di centinaia di migliaia di anni è stato selezionato per capire l'ecosistema e questa selezione lo ha dotato di una struttura che ragiona in base a modelli spaziali desunti dalle forme e dalle dinamiche del paesaggio.

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Il sentiero informale è un tratto palese delle attitudini paesaggistiche della nostra mente.

Vi propongo un "gioco" che rappresenta un viaggio dentro di noi più che fuori: attraversate lo spazio scorgendo i simboli e i segni che hanno guidato tanti altri prima di voi alla conquista del punto più alto di Monte Nuovo, potreste scopreire una parte di voi a cui raramente si presta attenzione.

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Per approfondire:

Matteo Meschiari,Terra sapiens. Antropologie del paesaggio, Sellerio Editore, Palermo 2010.

Matteo Meschiari, Nati dalle colline, Liguori Editore, Napoli 2010.

Ugo Morelli "Mente e Paesaggio. Una teoria della vivibilità", Bollati Boringhieri, Torino 2011.

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