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Chi era Lamia?
La Lamia (versione1 e versione 2), John W. Waterhouse
Secondo la mitologia greca, Lamia era una splendida regina libica di cui Zeus si innamorò follemente e con la quale generò molti figli. Era, moglie ufficiale di Zeus, folle di gelosia uccise i figli della coppia e Lamia, per dolore e per vendetta, prese ad uccidere i neonati di donne umane e a succhiare il sangue degli infanti così come quello degli uomini. Tutta questa follia fece sì che Lamia perdesse la sua bellezza mitica per trasformarsi in un mostro antropomorfo, che però aveva la facoltà di tornare bellissima quando voleva sedurre gli uomini e abbeverarsi del loro sangue.
Il poeta Orazio, nel Ars Poetica parla di Lamia come di una strega che mangia i fanciulli per poi partorirli morti.
“Siano verosimili le cose che s’inventano per dilettare;
nessun racconto può pretendere d’essere creduto in tutto ciò che vorrà:
è assurdo che la strega Lamia partorisca vivo il fanciullo che ha mangiato.”
(Orazio, Ars Poetica, vv 338-340)
Bisogna arrivare al periodo romantico, con John Keats, affinché la figura di Lamia perda quasi del tutto i suoi connotati di essere maligno e immorale diventando una creatura tragica, intrappolata in un corpo mostruoso ma lacerata da un dolore profondo e disperata per un amore perduto.
Era una forma gordiana di abbagliante tinta,
a macchie vermiglie, d’oro, verdi ed azzurre;
rigata come una zebra, maculata a mo’ di leopardo,
occhiuta come un pavone, e tutta di cremisi listata;
era cosparsa d’argentee lune, sì che, quand’essa respirava, si dissolveano, o splendeano più lucenti, o intrecciavano le loro luci con altri più cupi ricami. –
Così coi lati iridescenti, afflitta da tante miserie,
pareva, insieme, una donna degli elfi in espiazione,
la bella di un demone, o un demone stesso.
Su la sua cresta essa avea un languido fuoco
di stelle cosparso, come la tiara d’Arianna;
la sua testa era di serpente, ma oh amara dolcezza!
ess’avea bocca di donna, completa, con tutte le sue perle, e quanto a agli occhi: che altro poteano là simili occhi fare, se non piangere e piangere, ché sì belli erano nati?
Come Proserpina ancor piange per l’aura de la sua Sicania.
La sua gola era di serpente, ma le parole ch’essa dicea venian, come traverso gorgogliante miele, spinte da Amore.e tali: – mentre Hermes su l’ali sue posava,
come falco che giù s’inchina pria di ghermire la sua preda.
(John Keats, Lamia)